Dislessia… cos’è
Un mondo da capire
di Rossana Gabrieli (28.11.2008)
Il termine dislessia indica la mancanza di automatizzazione nell’acquisizione dei processi di lettura. Una spiegazione forse poco chiara ai più: che cosa è, allora, la dislessia, in termini comprensibili a tutti?
Facciamo qualche passo indietro e partiamo da una precisazione: la dislessia è solo un aspetto di una problematica più complessa che gli studiosi e gli esperti del campo definiscono con la sigla DSA: Disturbo Specifico di Apprendimento, che, come si può facilmente capire, è una difficoltà per l’appunto della modalità di apprendere, di imparare.
Come si manifesta, nel concreto?
Si presenta come impossibilità di imparare a leggere (dislessia), a scrivere (disgrafia e disortografia) a calcolare (discalculia) in modo automatico. Tutte queste forme del disturbo dell’apprendimento possono essere concomitanti – ed in questo caso avremo un disturbo severo – oppure no – ed in questo caso avremo un disturbo “leggero”.
Com’è facile immaginare, il disturbo emerge in età scolare, perché è a scuola che ci si accorge che “qualcosa non va”. Ma cosa?
Le maestre – ed i genitori, da un altro punto di osservazione – possono constatare, per esempio, che il bambino legge male, inverte sillabe e parole, salta le righe, ha una lettura stentata e sillabica, non fluida; quando scrive la scrittura è “contorta”, poco comprensibile, specialmente quando scrive in corsivo, e ci sono numerosi errori, con le doppie, l’uso delle “acca”, l’accento, l’apostrofo, e così via.
Non solo: nonostante gli esercizi di rinforzo e di recupero, il bambino sembra non imparare nulla e non migliorare. Ed inoltre: non impara le tabelline, non ricorda i giorni della settimana, i mesi dell’anno.
Eppure…eppure, ripetono quegli stessi insegnanti e genitori, è un bambino intelligente, sveglio, vivace. E allora PERCHE’? Perché a scuola sembra un disastro?
La risposta è semplice ed amara al tempo stesso: la dislessia è un problema di origine genetica. Non un solo gene, ma una concomitanza di fattori genetici colpiscono le abilità di apprendimento della letto-scrittura, rendendole, di fatto, impossibili da apprendere in maniera automatica, come avviene in noi, fortunati normo-lettori.
Proviamo a ricordare la fatica che fa un bambino in prima elementare quando impara a leggere e scrivere: un dislessico farà sempre, ogni volta che legge, la stessa fatica. Perché, in termini poveri e purtroppo “brutali”, dalla dislessia non si guarisce. Il bambino dislessico sarà un adulto dislessico.
Evidenziare che il disturbo è di origine genetica, poi, significa due cose. Primo, che la dislessia è un disturbo ereditario, secondo che non è né un problema cognitivo, né psicologico. Ciò vuol dire che il bambino dislessico ha un’intelligenza pienamente nella norma.
Sembrerebbe una contraddizione nei termini: scolari intelligenti che non sanno leggere e scrivere; ecco, perché a volte è più facile, per gli insegnanti, credere che si tratti di bambini pigri, svogliati, con la conseguenza di forzarli a ripetere, ad esercitarsi, ad insistere, con l’unico risultato di far loro odiare la scuola, campo di battaglia dove quotidianamente si celebra la loro sconfitta.
E così subentrano, come conseguenza, non come causa, problemi psicologici: bassissima autostima, rischio di depressione.
Di fronte a questo quadro, cosa si può fare? Esistono due Note della Direzione Generale dello Studente, del 2004 e del 2005, che parlano di “strumenti compensativi e dispensativi”, ovvero di mezzi per aiutare il percorso scolastico di questi ragazzi: dall’uso del computer, a software specifici, a mappe concettuali, a tempi più lunghi per l’esecuzione delle verifiche, ad un alleggerimento del carico dei compiti a casa.
Piccole cose, per noi, ma di grande aiuto per queste persone che, ricordiamolo, hanno lo stesso “diritto allo studio”, che la Costituzione italiana promuove per tutti i suoi cittadini. Al di là di ogni ostacolo oggettivo.