SI’ al Sesso nelle Carceri!
E’ questione morale per uno Stato che voglia dirsi Civile
servizio a cura di Daniela Rindi (16.10.2008)
“Abbracciare la mia donna per intero…
Quanto tempo era passato?
Quanti anni erano trascorsi da quando, per l’ultima volta, avevo abbracciato la mia donna per intero?
Intendo dire un abbraccio a figura intera, senza niente che ti divida, come il muretto della sala colloqui, che anche se è alto solo un metro t’impedisce ogni contatto che non sia quello delle mani.
Quel dannato muretto. In ogni carcere in cui ero trasferito era peggio che il Muro di Berlino…”
N.P.da San Vittore (www.ildue.it)
E’ un dato certo che nelle carceri, nessuna esclusa, l’argomento dell’affettività e della sessualità sia diventato, in quanto tabù, un problema molto grave.
La solitudine, l’isolamento dagli affetti, la costrizione delle libertà individuali, le privazioni, le violenze psicologiche e spesso fisiche a cui sono sottoposti i carcerati non fanno altro che aumentare in maniera esponenziale, il loro desiderio sessuale, non solo come normale sfogo di istinti primari naturali, ma come esplosione di una violenza repressa.
Il risultato non può che essere un’ossessione incontrollata, quasi animalesca, che sfocia inevitabilmente nel rapporto “omosessuale”, spesso, purtroppo… non consenziente: uno stupro quindi. La violenza nella violenza!
Ho scritto “inevitabilmente”, non “naturalmente”. Difatti la reclusione e la costrizione modificano inspiegabilmente anche la natura di uomini, che fino a prima della carcerazione, hanno avuto un comportamento etero assolutamente normale.
Chiediamoci allora: quale forma di rieducazione è quella che riesce a modificare in peggio la natura dell’essere umano? Cosa c’è di civile in una forma di recupero, di riabilitazione, che istiga inevitabilmente alla violenza sessuale innaturale? Cosa ne rimane della dignità di questi uomini? Uno Stato civile e democratico non condanna alla detenzione con il solo scopo di reprimere, altrimenti non si definirebbe tale. Sarebbe più un lager!
Il carcere è certamente il luogo dove scontare una pena, anche grave, quindi punitivo; ma deve essere strutturato in modo da recuperare la “mela marcia”, per poterla inserire nuovamente nella società, senza che questa procuri altri danni… o mi sbaglio?
Allora lo Stato non può non considerare che la repressione sessuale è, non solo crudele ma antieducativa, che trasforma l’uomo in una bestia violentatrice, istigandolo ad un impulso omosessuale che istintivamente non ha!
E qui inserisco l’altro aspetto della questione, quello morale.
Noi siamo un Paese di religione Cattolica e cresciamo i nostri figli con sane regole etiche.
Abbiamo forte, il senso della Colpa, ma soprattutto del “peccato”. Come possiamo tollerare, che all’interno di un’istituzione statale si perpetui una situazione “peccaminosa”? Che insegnamento cristiano è quello che accetta i rapporti sessuali con l’altro sesso? Ma come?… Fuori tacciamo i gay come “mostri”, li ghettizziamo, gli impediamo il matrimonio, solo perché non conformi alle regole di un “certo” buon costume, e poi dietro le sbarre accettiamo che anche uomini normali si stuprino tra loro? Questa è vera indecenza!
Nelle carceri della cattolicissima Spagna, in Svizzera, Olanda, Svezia, Danimarca e Norvegia già è consentito da tempo il “colloquio intimo” in un apposito spazio adibito all’incontro di coppie pre-esistenti, che permette di poter mantenere e coltivare i legami affettivi anche in stato di detenzione. Da noi, in Italia, la proposta di legge 653/86 che tentava di dare la possibilità alla persona detenuta di incontrare la propria moglie o marito, fuori dal carcere, con un permesso-premio è stata abrogata.
Quando è stata fatta la proposta di introdurre le cosiddette “celle per l’amore”, si è subito pensato alle “luci rosse” e a come sarebbe stato possibile controllare quelle stanze, senza trasformarle in veri e propri “bordelli”! Eppure l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo stabilisce: “il diritto di stabilire relazioni diverse con altre persone, comprese le relazioni sessuali”.
Il Consiglio dei Ministri europeo (con la Raccomandazione R(98)7, regola n.68) permette ai detenuti di incontrare il/la partner senza sorveglianza visiva. Infine anche L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha raccomandato la necessità di mettere a disposizione dei carcerati un luogo per gli incontri, che permetterebbe di coltivare gli affetti sul piano sociale e familiare.[Raccomandazione 1340(1997)].
Nella regione Lazio, Il presidente della commissione per la lotta contro la criminalità organizzata e i problemi carcerari, Angelo Bonelli, presentò nel 1996 una lettera al ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick, chiedendo di sperimentare nel carcere di Rebibbia i cosiddetti “colloqui sessuali”. La proposta nasceva dalla considerazione che la situazione psicologica dei detenuti, privati anche degli affetti e della sessualità, andava peggiorando sempre più, causando gravi reazioni all’interno del carcere: solo nel mese di febbraio ci furono 30 scioperi della fame, 26 casi di autolesionismo, 9 tentati suicidi e innumerevoli violenze sessuali tra uomini, sia su giovani gay che su eterosessuali.
Questo succedeva nel 1996… Oggi, a quanto ammonta questa triste classifica?
Gli episodi incontrollati di violenza sessuale fanno nascere un altro grave problema: l’AIDS!
Sono molti i detenuti sieropositivi che non sanno di esserlo e che lo scoprono quando oramai è troppo tardi…
Magari già violentati ripetutamente dai compagni di cella, come il caso denunciato da Franco Corbelli, leader del Movimento dei diritti civili, di un ragazzo gay sieropositivo, detenuto in un carcere calabrese il giugno scorso, per tentato furto. Il ragazzo, dopo ripetuti stupri, viene prima picchiato dai compagni, quando scoprono la sua sieropositività, poi messo in una cella d’isolamento (abitata anche da topi e scarafaggi), infine trasferito in altro carcere, rinchiuso in un reparto riservato ai condannati per i reati sessuali! Questi episodi, oltre che a umiliare e calpestare i diritti civili ed umani, rendono difficile il controllo di epidemie e psicosi.
Parliamo bene e razzoliamo male, come sempre.
Molti potrebbero replicare con il detto: “Se non resisti al carcere, non commettere il reato”. Sì, è vero, il carcere deve pur rispondere, purtroppo, a certi principi di repressione, isolarti dalla Società temporaneamente, limitare la tua libertà. Ma un conto è pagare con l’intento di capire lo sbaglio, un altro, essere istigato a compierne un ulteriore, senza averne neanche mai avuta l’intenzione…
Perché l’occasione fa l’uomo ladro… si sa.
E’ stato fatto qualcosa? No!
Pensiamo, al punto in cui siamo arrivati, che sia tempo di fare qualcosa! Lo crediamo e lo vogliamo fermamente: perché giusto e, soprattutto… sensato.