Dove va il vino
S’imbocca la via degli antichi vitigni nostrani
di Alfredo Labate Grimaldi (30.10.2007)
Si è partiti con decisione, dunque, alla scoperta dei vini autoctoni italici: finalmente!
Ed è merito da ascrivere a favore di tanti intelligenti produttori delle nostre migliori regioni vinicole.
Addio, quindi, ai vitigni francesi, quali lo Chardonnay -borgognano d’origine- il Cabernet e il Sauvignon – bordolesi- il Pinot Grigio -il bianco più venduto del mondo- il Merlot -vellutato e dal sapore fruttato- che da più di trent’anni la fanno da padroni in tutte le occasioni, a digiuno come a tavola, accompagnando tutto e stando bene con tutto e… “viaggiando con molto piacere”? (Ovunque portati, infatti, attecchiscono con facilità, fornendo sempre ottimi risultati).
Certo che no. Ma guardiamoci anche in casa…
C’imbatteremo in vitigni altrettanto nobili: come il “Fiano” di Avellino o il “Greco” di Tufo, per esempio. O in molti altri che nascono dal recupero magari, di un vecchio filare o dalla ricerca cocciuta e appassionata di un valente, sapiente, coraggioso produttore.
Per capire quanto ci sia da cercare, ricercare, recuperare, basti pensare che la viticoltura è a noi pervenuta dal mondo greco classico; e a loro, approdata dal Caucaso.
Non c’è buco d’Italia, insomma, ove non valga la pena di studiare, sperimentare, “scommettere”!
Perché il “made in Italy” vuol dire anche vitigni autoctoni italici che “non amano viaggiare” e questo rappresenta un vantaggio considerevole per le esportazioni.
“Made in Italy” si chiama anche Nebbiolo, Sangiovese, Nero d’Avola, Barbera e… centinaia d’altri nobili nomi della tradizione del buon bere italiano.
E quando si cercano questi profumi antichi del nostro vissuto socio-antropologico, si può, a maggior ragione, affermare che il vino, oltre che “dono degli dei”, è cultura vera.